Domenica, 27 Febbraio 2011 13:07

Dalla caduta dei tiranni in Nord Africa all'italica fabbrica della servitù. Volontaria.

Scritto da  Gerardo

Riportiamo l'articolo di Roberta De Monticelli dal titolo Soggetti alla legge ma non al capo, apparso in Saturno del 25 febbraio.
Libertà e servitù, sudditanza e menzogna. Quale obbedienza per il cittadino responsabile?




Soggetti alla legge ma non al capo
di Roberta De Monticelli
in “Saturno” del 25 febbraio 2011


Mentre un vento di rivolta soffia a sud della Penisola, incendiando i paesi islamici dal Nord Africa all'Iran, ci si può chiedere se la millenaria riflessione occidentale sul potere, la legge e la disobbedienza potrà ancora aiutarci a decifrare il futuro di questa che già la nostra speranza chiama “la caduta dei tiranni”. Ma se rivolgiamo di nuovo lo sguardo al presente italiano, un dubbio ancora più forte ci assale. Ovvero se le categorie filosofiche dell'obbedienza e della disobbedienza, sulle quali si fonda in definitiva quanto di meglio abbiamo saputo dire sui fondamenti del potere politico nella coscienza delle persone, possano servirci ancora. In questa Italia, «terra di nefandezze, abiure, genuflessioni e pulcinellate». In questo nostro Paese che «attraverso Machiavelli, ha mostrato al mondo il volto demoniaco del potere»; «che ha inventato il fascismo»; dove «la politica si è definitivamente trasformata in crimine, ricatto, delazione, scandalo, imbroglio». Parole vigorose. Parole di uno scrittore, Ermanno Rea, che si fa leggere d'un fiato dalla prima all'ultima pagina nel suo La fabbrica dell'obbedienza (Feltrinelli). Questa fabbrica è l'Italia. Rea attraversa la questione morale passando per i nostri classici, l'Unità tradita, il fascismo, il dopoguerra democristiano, la svolta degli anni Ottanta, fino al presente di «un regime così corrotto e maleodorante che non si sa più con quale aggettivo bollarlo».

UN CORREDO DI SUDDITANZA E MENZOGNA
Ma questo libro pone una domanda, semplice e per così dire spettacolare. La stessa dei saggi su Rinascimento Riforma e Controriforma di Bertrando Spaventa, che proprio dagli studi del filosofo napoletano trae ispirazione e respiro. Noi siamo stati i primi. Abbiamo inventato il cittadino responsabile con l'Umanesimo e il Rinascimento. Com'è successo che a questi centocinquant'anni di splendore sia seguita la nostra lunga servitù civile e morale, con il suo corredo di arti della sudditanza, della menzogna, dell'opportunismo e del cinismo, che ritroviamo tanto ben descritte nelle pagine dei nostri classici da Guicciardini a Leopardi? Com'è potuto accadere che questa storia si sia inesorabilmente ripetuta dopo grandi, in qualche modo miracolose, accensioni di speranza? Il Risorgimento finì di morire col fascismo, e la Costituzione nata dalla Resistenza si vede oggi che fine rischia di fare. Ecco, sarebbe molto miope chi vedesse nella risposta di Rea una semplice riedizione di quella di Spaventa: colpa della Controriforma! Ciò che conta non è di chi o di cosa sia la colpa, ma l'analisi spietata di come si fabbrica la servitù del cuore e la prigionia della mente - che sono l'esatto contrario di tutte le figure di una coscienza delle leggi, antiche e moderne. Delle figure, cioè, dell'obbedienza e della disobbedienza. Del dovere e del diritto. Che stanno alla libertà dei cittadini come la sudditanza al potere illimitato sta alla libertà dei servi. L'opposizione è la stessa che corre fra “I care” e “me ne frego” - come già aveva notato don Milani nel suo L'obbedienza non è più una virtù. A differenza della legge, il potere è «alla ricerca di un'obbedienza sempre contingente e perciò da rinnovare continuamente, senza mai esigere… una responsabilità totale, prolungata nel tempo». Che sia ottenuta con la dipendenza spirituale, con la tecnica della confessione e del perdono, oppure con la dipendenza materiale, il favore e il ricatto: la distruzione dello “spirito delle leggi” è una cosa sola con la polverizzazione dell'impegno personale. Cioè la riduzione della necessità del dovere alla contingenza della soggezione, del valore della promessa al prezzo dello scambio - in una parola, la demolizione della responsabilità personale, che obbedienza e disobbedienza autentiche presuppongono. Ci aiuta a vederlo Raffaele Laudani con il suo Disobbedienza (Il Mulino): un testo che, come ogni prima lezione di filosofia del diritto, si apre nel duplice segno del Socrate platonico e dell'Antigone sofoclea. «E poiché sei venuto al mondo, sei stato allevato ed educato, come puoi dire di non essere, prima di tutto, creatura nostra, in tutto obbligato a noi, tu e i tuoi avi?».

SIAMO UNA FABBRICA DI SERVI VOLONTARI
Questo dicono le leggi a Socrate, secondo un celeberrimo passo del platonico Critone. Più che padre e madre sono per Socrate le leggi, senza le quali non esiste Città dove ragione si oppone a ragione, ma solo la ragione del più forte, la guerra o il dispotismo. Perciò Socrate accetta la morte e non fugge, pur sapendo che la condanna è ingiusta. Howard Zinn, cantore americano della disobbedienza civile, non perdonava a Socrate il suo atto di obbedienza. Eppure è proprio dai tempi dell'Umanesimo e del Discorso sulla servitù volontaria (1548) di Etienne La Boétie che lo sappiamo: un tiranno non ha altra forza che quella che gli conferiscono i suoi sudditi, perché non c'è altra fonte di sovranità che il libero volere degli individui. È questa coscienza, infine, che ha permesso di intendere non solo la disobbedienza, ma anche l'obbedienza come un modo della libertà: l'obbedienza, s'intende, alla legge e non al capo. L'auto-obbligazione responsabile dei cittadini, che ha dunque come ultima fonte di legittimità nient'altro che il rispetto della pari dignità di ognuno. In questa autolimitazione del potere che ci fa, governanti e governati, uguali di fronte alla legge,è il valore della legalità e il senso delle istituzioni democratiche. Come la divisione e la relativa autonomia dei poteri. Oggi respiriamo l'onda maleodorante fatta di abusi condoni favori tangenti impunità soprusi e perdoni. È la palude stigia che abbiamo fatto della nostra anima, con un sì dopo l'altro alla ventennale svendita della legalità in cambio di consenso. Chiamiamola pure “democrazia bloccata”: Ermanno Rea ci insegna che l'impunità assurta a stile di vita non è che l'ultimo capitolo della storia di minorità morale e cinismo cui ha condotto l'intimo matrimonio delle coscienze e della Controriforma. Solo una parola cambieremmo, al titolo. Non la fabbrica dell'obbedienza, ma della servitù - questo abbiamo fatto e continuiamo a fare dell'Italia. Allora sarà più chiaro che non abbiamo scusanti: perché non c'è servitù se non volontaria.

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